Di Marco Mascioli
Oggi purtroppo in Italia il Servizio Sanitario è oggetto di aspre polemiche per le disfunzioni e per gli alti costi. Come sancito dalla nostra Costituzione, lo Stato dovrebbe garantire a tutti i cittadini l’effettivo diritto alla salute, invece sempre più in questi ultimi anni abbiamo riscontrato tanti casi d’inadeguatezza delle strutture sanitarie pubbliche.
Urgenze di ricovero respinte per mancanza di posti negli ospedali o malati “depositati” su barelle nei corridoi del Pronto Soccorso per giorni, o ancora trasferiti in altro nosocomio con ambulanze.
Spesso negli ambienti ospedalieri riscontriamo improvvisazione, egoismo e interessi personali, uniti all’inadeguatezza delle strutture. Viviamo in uno Stato caratterizzato della pessima gestione degli enti pubblici in generale e dal degrado dei servizi sociali più importanti, con sprechi e strutture che, oltre a essere costosissime, comportano lungaggini e rallentamenti burocratici indecenti.
Il Servizio Sanitario ora regionale, prodotto della riforma costituzionale del 2001, concerne il più importante dei servizi sociali, quello della tutela della salute di tutti cittadini, ma appare sempre meno in grado di garantire tale essenziale funzione.
Per queste ragioni le condizioni di tanti nostri ospedali sono al centro di aspre polemiche, ma in Italia, come spesso nel “pubblico” in generale, nessuno è responsabile e di conseguenza nessuno deve risponderne. Dalla parte degli addetti ai lavori, sempre più lamentano l’impossibilità di gestire le crescenti esigenze con le poche strutture e lo scarso personale, sostenendo che i problemi della sanità italiana si possono risolvere solamente con la privatizzazione di molti settori del servizio sanitario.
Non basta lo spreco di denaro nell’ambito dei nosocomi, ora si creano convenzioni a raffica con strutture private. Esami e analisi di ogni genere, visite specialistiche e addirittura interventi, pagati fior di quattrini sia dagli interessati, sia dalle regioni.
Stranamente, se fosse necessario un semplice intervento alla cataratta mediante un apparato Laser, nelle strutture pubbliche del Friuli Venezia Giulia, si rischia di aspettare oltre un anno, ma rivolgendosi alle strutture private, magari a pochi chilometri fuori dalla regione, nel giro di pochi giorni si risolve tutto, sempre senza pagare un euro da parte del paziente.
La stessa cosa nel caso di una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), Risonanza magnetica, con o senza contrasto, insomma esami che utilizzano apparati che costano centinaia di migliaia di euro, se non milioni. Come possono i privati investire cifre simili e trarre profitto dalla gestione, se negli ospedali pubblici riescono a essere in attivo solo nel servizio bar?
Il fatto che la sanità italiana sia considerata a livello globale ai primi posti della classifica mondiale, sebbene stia perdendo posizioni ogni anno, significa soltanto che altri stanno messi peggio di noi, ma funziona solo per coloro che non hanno problemi di salute.
Rendere efficiente il sistema sanitario italiano è possibile attraverso una radicale riforma di tutto il sistema di servizi pubblici che, senza essere privatizzati, dovrebbero piuttosto essere gestiti diversamente, in modo più razionale, con l’eliminazione delle sacche di privilegio e, per quanto concerne specificamente la gestione delle Aziende Sanitarie Locali, con la garanzia di responsabilità in solido per tutti, dal primo all’ultimo. Non si tratta di elargire più assegnazioni economiche, ma al contrario eliminare gli sprechi e l’inutile burocratizzazione.
Ancora nel 2024, tanto per fare l’ennesimo esempio, vorremmo sapere perché non si possono prenotare visite ed esami in determinate strutture pubbliche della regione attraverso il centralino del C.U.P. (centro unico di prenotazione), per esempio l’ospedale di Latisana, costringe i pazienti a recarsi in loco.
In conclusione abbiamo chiaramente compreso il motivo per cui ci chiamano “pazienti”, ma forse sarebbe appena il caso di considerarci “clienti”, giacché mentre gli operatori di ogni ordine e grado lamentano stipendi troppo bassi (senza mai considerare paragoni con altri mestieri), se ci rivolgessimo tutti al settore sanitario privato, loro resterebbero senza lavoro.
Chi ritiene che l’ottimizzazione della sanità possa avvenire solo attraverso le chiusure di reparti e interi ospedali, sappia che la storia lo ha già contraddetto. Dopo aver trasformato una serie di strutture ospedaliere in piccoli centri di pronto soccorso, la situazione è nettamente peggiorata.
Aprire gli occhi per vedere la realtà di un Paese, la cui popolazione invecchia sempre più (nonostante questa sanità) avendo esigenze di cure, per cui di medici e infermieri, è indiscutibilmente in contrasto con le politiche attuate da qualche anno relative a esami d’ammissione alle università per le facoltà mediche (che pensavamo dovessero formare i medici del futuro, non selezionare coloro che già sanno). Responsabilizzare direttori e dirigenti sanitari sulla gestioni fallimentari e gli sprechi di tempo e materiali.
Per ascoltare direttamente la situazione dall’interno abbiamo intervistato il presidente dell’OPI di Udine (Ordine delle Professioni Infermieristiche) Stefano Giglio.