Si potrebbe dire, in un certo senso, che Andrei Romanovich Chikatilo e Ed Gein, due serial killer riemersi dal loro macabro passato, abbiano colpito ancora…ma senza gravi conseguenze. Due svenimenti alla mostra, per alcuni controversa, che a Iesolo ripercorre la storia di assassini seriali e delle loro sanguinolente gesta. Segno che, questa mostra, “colpisce nel segno”, che però non è quello di far sevenire i visitatori…come hanno già precisato gli organizzatori (leggi anche il servizio precedente su euroregionenews)
Però l’accuratezza con cui è stata allestita questa indubbiamente originale mostra non lascia indifferente e così u na studentessa in legge, 21enne residente a Udine, è crollata a terra svenuta immedesimandosi nei dettagli della macabra storia di atrocità del serial killer russo, Andrei Romanovich Chikatilo.
Stessa sorte per una signora 36enne di Trieste che ha perso i sensi mentre attraversava la sezione che riproduce in modo ingigantito l’interno del frigorifero dell’assassino Ed Gein alla vista dei pezzi di genitali delle sue vittime.
I malori si sono verificati alla mostra “Serial Killer, dalla vittima al carnefice”, aperta in piazza Brescia a Jesolo tutti i giorni fino al 10 gennaio, che permette ai visitatori di immedesimarsi nei panni delle vittime e degli studiosi di criminologia, investigando e approfondendo in modo realistico gli scenari e le storie dei serial killer italiani e stranieri più famosi degli ultimi tre secoli.
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CHIKATILO, L’Hannibal Lecter sovietico
La torva figura del russo Chikatilo, a ben 25 anni dalla sua morte, in qualche modo ha colpito ancora. “L’Hannibal Lecter sovietico”, “lo squartatore della steppa”, “il cannibale russo”, tanti sono i nomi che sono stati attribuiti al mostro sovietico che, ininterrottamente per 12 anni, fra il 1978 e il 1990, uccise, stuprò, deturpò e cannibalizzò le sue vittime in tenera età.
Le sue imprese di morte e sadismo sono riproposte nelle scene del crimine dei suoi omicidi ricostruite fedelmente come set cinematografici, in tutto amplificato da un filmato sonoro proiettato nell’esposizione jesolana che offre in mostra le scene dei delitti più efferati della storia, ricreando le ambientazioni conosciute in tutto il mondo come CSI (acronimo per “Crimen Scene Investigation”).
La 21enne friulana si è accasciata di fronte al distributore di bibite davanti agli occhi del fidanzato. Dopo essersi ripresa la visitatrice si è scusata del malore ed ha raccontato che ha perso i sensi appena dopo l’ultima scena del cannibale russo Cikatilo del quale aveva già letto la storia su internet.
“Ad averla impressionata particolarmente” racconta l’operatrice dello staff che l’ha soccorsa “è stato soprattutto l’abbinamento della storia del cannibale russo con una riproduzione di una sua scena del crimine presente nei 1000 metri quadri al piano terra della mostra. Appena uscita dal set la ragazza ha sentito una vampata di calore e poi non ricordo più niente”.
Analoga circostanza, ma cause diverse, quella della triestina che ha perso i sensi nel bel mezzo della visita assieme alla comitiva che l’accompagnava motivando però il mancamento con un inizio di claustrofobia per gli spazi chiusi e per l’oscurità improvvisa della scenografia che ricostruisce il frigorifero del serial killer Ed Gein.
“Le due visitatrici sono state subito soccorse dal nostro staff che accompagna i gruppi” commenta il patron della mostra di Jesolo, Mauro Rigoni “e sono state assistite per oltre 15 minuti ciascuna finché hanno ripreso colore in viso e sono finiti i capogiri”. “Purtroppo alcune scene sono un po’ forti” aggiunge Rigoni “e ad alcuni visitatori provocano reazioni impreviste. Se pensiamo che a visitare la mostra sono in prevalenza donne con età media che va dai 20 ai 30 anni”.
Sono ormai quattro gli svenimenti in soli tre giorni di apertura dal 26 dicembre. Gli altri due episodi di malore con protagonisti maschili hanno invece riguardato un visitatore di Belluno e uno di Vicenza, entrambi si sono impressionati assistendo alla scena della sedia elettrica mentre i tecnici della mostra procedevano alla simulazione della morte del serial killer Ted Bundy, giustiziato da una scarica elettrica nel 1989.
“Vorremmo precisare” conclude Rigoni “che la mostra non è pericolosa, ne tanto meno così impressionante, ma è molto illustrativa con effetti speciali visivi e sonori che amplificano rendono molto forti ed impressionanti le scenografie e le storie proposte. Il momento di riflessione più intenso avviane al primo piano quando il visitatore può vedere da vicino gli strumenti di tortura e le armi del delitto originali dei serial killer”.
Andrei Romanovich Chikatilo. Nacque nel 1936 nella repubblica ucraina dell’Unione Sovietica; la sua infanzia fu traumatica, i genitori erano dei semplici contadini e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il padre fu catturato dai tedeschi mentre la madre fu rapita da un gruppo di soldati.
Un episodio molto forte di pura follia fu quello capitato al fratello maggiore Stepan, morto durante una grave carestia nel 1930, prima ucciso e poi mangiato dalla folla affamata. Questo racconto segnò profondamente Andrei, anche se nessun documento prova l’esistenza di un fratello. Andrei soffriva di una disfunzione sessuale che lo rese impotente. A 19 anni fu chiamato a prestare servizio militare e lì venne etichettato come omosessuale e violentato, episodio che Andrei denunciò.
Frustrato dalla sua impotenza riusci comunque a trovare moglie e ad avere due figli, anche se non mise incinta sua moglie in un modo convenzionale, bensì inserì lo sperma nella vagina con le sue mani. Nel 1971 comincio una nuova carriera come insegnante ma i suoi rapporti con gli alunni non erano dei migliori, era poco amato.
Nel 1978, a pochi giorni da Natale, Lena Zakotnova di 9 anni abitava in una piccola cittadina vicino a Rostov nel Sud della Russia, stava tornando a casa da scuola. Conosceva bene la strada e si fermò a chiacchierare con gli amici facendo tardi. Lungo la strada del ritorno trovò un signore gentile che gli offrì una gomma da masticare e si lasciò convincere a seguirlo. Lena non tornerà più a casa: Andrei la condusse in una baracca abbandonata, la spinse a terra strappandole i vestiti e la violentò seviziandola e strangolandola. Tutto per il solo piacere di farlo: capì che il sangue era il mezzo per raggiungere l’orgasmo. Questo fu stato il primo di una serie di delitti con vittime sempre giovanissime. Dominazione, mutilazione, agonia fu ciò che dovettero subire le sue vittime.
Era convinto che tutto ciò rimanesse impresso negli occhi delle vittime compresa la sua immagine e perciò aveva deciso di toglierli. La sua attività frenetica durò 12 anni. Dopo aver ucciso le sue vittime faceva sesso con loro e poi le tagliava a pezzi. Qualche volta li sventrava, o tagliava i loro organi o li mordeva. Fu catturato due volte e lasciato andare. Per il suo primo omicidio fu processato un altro uomo, mentre lui la passo liscia.
Molte persone furono arrestate ed interrogate al posto suo. La polizia riusci a catturarlo dopo la caduta dell’Unione Sovietica, nel 1990. Fu dura ma dopo una settimana di interrogatori confessò. Durante il processo venne tenuto dietro le sbarre per evitare che le famiglie delle vittime lo linciassero. Insultò il pubblico del processo sventolando riviste pornografiche e cantando. I reati vennero letti per un’ora e mezza e lui fu condannato a morte. La sua richiesta di clemenza fu negata dal Presidente Boris Yeltsin e fu giustiziato con un proiettile.
ED GEIN
Ed Gein. Nacque il 27 Agosto del 1906 nel Wisconsin, da una madre pazza e un padre alcolizzato, dal quale subì parecchi abusi sessuali. Nel 1944 il padre morì in un misterioso incendio e dopo un anno morì anche la madre che Ed adorava.
Questo tragico evento gli fece crollare il mondo addosso, si sentì completamente solo; lasciò intatte le parti della casa dove la madre era solita abitare come se lei fosse sempre là. Ed si limitò a vivere nella cucina e in una piccola stanza vicina, leggeva molti libri di anatomia e sul culto della morte.
Nel 1957 la sua casa fu perquisita alla ricerca di Bernice Worden, che era stata dichiarata scomparsa: trovarono solo il torso della ragazza ma, oltre a lei, trovarono anche 4 nasi, 9 maschere fatte con pelle umana, 10 seni di donna segati nella parte superiore, sedie ricoperte di pelle umana, il cuore della scomparsa Mary Hogan in una busta di carta, 9 coppie di genitali in scatole di scarpe, una cintura fatta di capezzoli, un paralume fatto con la pelle del viso, labbra, bulbi oculari, scatole con dentiere, un tavolino fatto con ossa di tibie, una scodella fatta con la parte superiore di un cranio.
Ed ancora, una poltrona che aveva delle braccia umane al posto dei braccioli, il letto decorato di teschi e i resti di almeno altre 10 persone. Il pezzo forte della macabra collezione di Ed Gein fu il “vestito di pelle umana”, si pensa che lui se lo mettesse per assomigliare alla madre. Ed viveva in una vera e propria “casa della morte”. Fu subito spedito in carcere dove dichiarò che tra il 1947 e il 1952 andò al cimitero circa 40 volte e che in preda al delirio riesumò dei corpi di donna che avevano all’incirca l’età della madre.
Ed Gein fu arrestato nel 1957, fu dichiarato incapace di sostenere un processo, e venne assegnato alle cure del Central State Hospital. Dieci anni dopo fu dichiarato in grado di sostenere il processo e il caso Gein venne riaperto. Al termine del processo, iniziato nel 1968, Ed fu dichiarato insano di mente, colpevole dell’omicidio di Bernice Worden e Mary Hogan, e rinchiuso a vita nel penitenziario psichiatrico dello stato. Durante il periodo di detenzione s’integrò perfettamente, era un paziente modello e riservato, lavorò come falegname, muratore e inserviente. In più occasioni scherzò sulla sua vicenda, un giorno disse allo sceriffo che lo aveva arrestato: “Sceriffo… anch’io ho un cuore…”. Nel 1974 fu respinta la richiesta di infermità mentale. Ed Gein morì il 26 luglio del 1984 per arresto respiratorio. Oggi è sepolto a Plainfield accanto alla madre Augusta. Ed Gein ispirò il mondo con cinema con film famosi come: “ Il silenzio degli Innocenti”, “Psyco” e “Non aprite quella porta”.