L’Università di Udine in collaborazione con la Fondazione Agrifood&Bioeconomy FVG ha realizzato uno studio sul marchio regionale “Io Sono Friuli Venezia Giulia”. Sono state analizzate da una parte le caratteristiche di sostenibilità evidenziata da parte di più di 190 aziende concessionarie e dall’altra la conoscenza del marchio nella nostra regione e in Austria e Slovenia. L’indagine è stata condotta da un gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze economiche e statistiche dell’ateneo friulano composto dal ricercatore Alberto Bertossi e dai docenti Francesco Marangon e Stefania Troiano. I risultati dello studio sono stati illustrati al XVII Congresso internazionale dell’European Association of Agricultural Economists a Rennes, in Francia.
La nostra Regione con questa operazione di branding UNICO vuole far conoscere il nostro territorio attraverso la sinergia tra i diversi interventi di comunicazione che sono partiti dal settore food, il più legato al territorio, per passare poi a turismo (con la massima visibilità internazionale) e alla cultura e sport. Non ultima la decisione di eleggere ad ambasciatori le principali squadre calcistiche regionali.
Altrettanto hanno fatto altre regioni, dopo il Trentino Alto Adige, come “Io Aderisco” in Piemonte, “Qui Vicino” in Lombardia, “Qualità Verificata” in Veneto e “Marchio di Qualità Alto Adige” –. Obiettivamente il risultato di queste ultime non è paragonabile con il nostro e con le prime della classe.
Va detto che l’inizativa friuliveneziagiuliana si è sviluppata in un periodo non facile in cui, causa prima il Covid e poi la guerra in Ucraina, le catene di approvvigionamento alimentare sono state interrotte o si sono rese difficoltose o costose.
Quindi le imprese coinvolte nell’iniziativa erano obiettivamente impegnate su vari fronti ma, nonostante tutto, siamo giunti a 350 imprese che producono quasi 1000 prodotti che si fregiano del riconoscimento basato sulla sostenibilità declinata nelle tre direzioni: sociale, ambientale ed economica.
La ricerca di UNIUD ha analizzato le credenziali che le aziende hanno presentato per richiedere il riconoscimento e le verifiche di riscontro svolte poi da Agrifood FVG per il rilascio del marchio.
“Il risultato che abbiamo avuto nel nostro studio ci ha sorpreso positivamente. Infatti le nostre imprese quando si sono presentate e quando sono state poi valutate hanno dimostrato di essere molto obiettive nelle loro considerazioni. Nel complesso, il divario medio tra la sostenibilità dichiarata e verificata è dell’8 per cento” spiega Bertossi. La forbice è più stretta quando si affronta la dimensione sociale (5%), mentre passa al 7% per quella ambientale e al 10% per quella economica.
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Le ragioni alla base di queste piccole differenze possono essere ricondotte a diverse valutazioni da parte dei manager, dovuti alla difficoltà di misurare alcuni aspetti di carattere soggettivo o culturale ma chiave nella nuova dimensione della sostenibilità.
Per esempio la sostenibilità sociale si concretizza molto nell’impegno costante nei rapporti con i cittadini e i consumatori attraverso una comunicazione chiara dei prodotti e la gestione dei reclami ma anche dalla creazione di un ambiente di lavoro adeguato, con azioni volte a rendere il clima aziendale collaborativo, partecipativo e di supporto e dal rapporto con il territorio, ascoltando la comunità locale e favorendo l’occupazione. Da ciò si può capire come uno scarto solo del 5% sia del tutto plausibile ed anzi un buon risultato.
Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, si registra un maggiore impegno da parte delle imprese a minimizzare l’uso di imballaggi e la produzione di rifiuti e scarti, seguito dalla riduzione delle emissioni inquinanti per contrastare i cambiamenti climatici, dalla sensibilizzazione dei consumatori, dalla tutela delle risorse naturali e dalla riduzione dell’uso di energia da fonti non rinnovabili.
Infine abbiamo rilevato che il livello di sostenibilità economica è dato principalmente dall’impegno nella governance aziendale con azioni volte a minimizzare le differenze retributive tra i dipendenti, ad accrescere la partecipazione del personale alle decisioni strategiche d’impresa, a combattere l’illegalità e la corruzione.
“Viste le circostanze COVID e belliche , l’impegno per il miglioramento della catena di fornitura sostenibile è una sfida ancora da vincere” precisa Marangon. “Sebbene molte aziende si sforzino di rifornirsi da produttori locali per la scarsità di materiali oggi disponibili è complesso tenere conto di alcuni aspetti come quelli legati al commercio equo e solidale o degli impatti ambientali e sociali delle attività logistiche. Possiamo sempre migliorare” chiosa Marangon.
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Il Dipartimento dell’ateneo udinese ha anche valutato il livello di conoscenza tra i consumatori dell’esistenza del marchio, attraverso un sondaggio che ha intervistato 1.000 consumatori del Nordest italiano e di Austria e Slovenia. Il dato più alto di conoscenza, ovviamente, emerge tra i residenti del Friuli Venezia Giulia, che hanno dichiarato complessivamente di conoscere ed apprezzare il marchio nel 75% dei casi. I canali più importanti sono stati la televisione (40%), i giornali e le riviste (35%) e i social (25%).
Nelle altre regioni italiane vicine (Trentino Alto Adige e Veneto) il marchio è conosciuto dal 40% e oltre degli intervistati grazie ai social. Complessivamente, il numero di cittadini italiani consapevoli dell’esistenza del marchio è superiore a quelli che dichiarano il contrario.
Per quanto riguarda gli Stati confinanti, è maggiore la conoscenza nelle regioni prossime al confine. In quelle austriache, come la Carinzia, lo conosce il 55% degli intervistati grazie soprattutto a tv e riviste, mentre nelle vicine regioni slovene lo conosce il 53% in prevalenza attraverso internet.