26/07/2024

… il gregge va, dove il cane vuole.

La più rilevante teoria del totalitarismo appartiene a Hannah Arendt (filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense). Ella la ritenne una forma di dominio, perché non solo distrugge le capacità politiche dell’uomo, isolandolo dalla vita pubblica, ma tende a estraniarlo dal mondo, privandolo perfino del proprio io. Questo attraverso la distruzione dei gruppi e delle istituzioni che formano il tessuto delle relazioni private dell’individuo stesso. Il principale scopo del totalitarismo è di trasformare la natura umana convertendo gli uomini a “fasci di reazioni intercambiabili”, questo grazie a una combinazione d’ideologia e terrore.

ern San_Vito_al_Tagliamento_-_Piazza_del_PopoloL’ideologia totalitaria ha la pretesa di spiegare in modo totale e assoluto il corso della storia. L’essenza stessa del totalitarismo è espressa dal terrore che diventa uno strumento permanente di governo. Tutto ciò è espressione del partito unico, anche se questi regimi non si basano su una struttura monolitica. Si crea invece una moltiplicazione e sovrapposizione di uffici e competenze dell’amministrazione statale, del partito e della polizia segreta, i quali creano un confuso intreccio organizzativo che si contraddistingue per un’assenza di struttura. La volontà del capo è l’unica legge del partito il quale opera con il solo scopo di realizzarla. Il capo è anche il depositario dell’ideologia e solo lui può interpretarla o correggerla.

Il totalitarismo è un regime politico. Esso indica un orizzonte, una prospettiva, una tendenza. Secondo gli storici le radici del totalitarismo sono molto antiche. Ritengono che già in Grecia durante il periodo spartano si avesse una dittatura totalitaria degli spartani sugli Iloti basata su un terrore permanente. Altro esempio parrebbe l’antica Roma di Diocleziano, con la politica da egli attuata. Irreggimentazione sociale, con criteri improntati a una rigorosa disciplina, annullatrice della libera espressione della personalità individuale.

Un dipinto del totalitarismo potrebbe rappresentare il monopolio statale delle forze repressive e dei mezzi di comunicazione (stampa, radio, televisioni ecc.). La proprietà privata individuale rappresenta un ostacolo all’unificazione. La totale gestione dei sistemi di convincimento e diffusione delle idee.

Fascismo e comunismo come due facce della stessa medaglia: il regime. Molti punti in comune, obiettivi identici, con parole diverse. L’unificazione condiziona la gerarchia sociale, sottomettendo le masse ai membri del partito, questi alla nomenclatura, che è a sua volta assoggettata a un ristretto gruppo dirigente, al vertice del quale regna il capo supremo.

Considerare l’Italia di oggi uno Stato pericolosamente totalitario, con caratteristiche di regime, potrebbe non essere così assurdo

come vorrebbero farci credere: buona parte dei mezzi di comunicazione sono alla mercé dei partiti politici; i partiti politici sono in realtà strutture in funzione di capi più o meno carismatici; ben oltre la metà degli italiani si sente staccato, lontano e separato dalla politica.

Nella concretezza sappiamo che il significato attribuito al regime fascista, comunista o comunque totalitarista è ben diverso dalla realtà odierna: ci fu la guerra, la morte, la fame che caratterizzarono il periodo che possiamo dire assolutamente concluso oltre mezzo secolo fa (almeno in Italia).

Che adesso, con l’avvicinarsi dell’”election day” il 4 marzo, aumentino le manifestazioni di protesta più o meno violente da parte di antifascisti, in tutte le principali città italiane, comprese Udine e Trieste, in un’escalation che sta avvelenando ancor di più la campagna elettorale, rendendola bieca all’inverosimile. Con l’indecente partecipazione di politici che, terminata la raffica di promesse vuote, insensate e irrealizzabili, intrise di demagogia utile solo per le pecore, ora puntano il dito e alzano la voce contro un fantasma chiamato fascismo.

Da tre anni stiamo commemorando i cent’anni dalla grande guerra, ora tiriamo fuori i fascisti dai libri di storia pur di gridare?

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Sembra davvero non abbiamo politici che sappiano pensare al presente e al futuro. Si divertono con la complicità dei loro giornalisti in manifestazioni e proteste di un’inconcludenza totale, fondate sul nulla e amplificate dall’ignoranza degli italiani che, non avendo ricevuto un’istruzione apolitica della storia, credono alla pericolosità dei fantasmi di Hitler e Mussolini?

La violenza va condannata qualunque sia la motivazione e sappiamo che anche la più tenera pecorella, riunita in gregge e guidata da cani rabbiosi, può fare danni enormi.

Se non fosse preoccupante e allarmante, verrebbe da ridere.

Anche San Vito al Tagliamento ha una giunta che senza tanti perché si è voluta schierare (forse meglio dire assecondare il desiderio del sindaco): il Comune si è iscritto all’anagrafe antifascista!

L’anagrafe antifascista è una comunità virtuale (leggi sito internet) di valori, aperta a tutti coloro che si riconoscono in una serie di principi enunciati sulla “Carta di Stazzema”. Per aderire è sufficiente compilare online un modulo con tutti i dati personali.  Secondo quanto riportato nel sito, la motivazione è da attribuirsi al fatto che “sta succedendo qualcosa di preoccupante: si riaffacciano simboli, parole, atteggiamenti, gesti e ideologie che dovrebbero appartenere al passato. Si fanno largo sentimenti generalizzati di sfiducia, insofferenza, rabbia, che si traducono in atteggiamenti e azioni d’intolleranza, discriminazione, violenza verbale”.

Come possa un Sindaco perdere tempo suo e dei membri del Consiglio comunale, parlando d’iscrivere tutto il Comune in un’anagrafe virtuale (dove si possono registrare singolarmente le persone) non mi è chiaro, ma ferma restando l’opportunità sua, come di ognuno, d’iscriversi ovunque, giacché in Italia oggi non c’è il fascismo, bensì la democratica possibilità di scelta.

Valerio Delle Fratte, capogruppo di Amo San Vito al Tagliamento nel Consiglio comunale, ci ha raccontato quanto accaduto nell’intervista.

Marco Mascioli

 

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