Valerio Federico, membro della Direzione Nazionale di Radicali Italiani e Pietro Pipi, tesoriere dell’Associazione Radicali Friuli Venezia Giulia così commentano la riforma sul referendum approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia.
“I provvedimenti di legge approvati oggi dal Consiglio regionale non intervengono sui principali ostacoli posti, dalla normativa in vigore, all’esercizio di diritti politici di base dei cittadini. L’attuale norma prevede, come le leggi delle altre regioni e come la legge nazionale, che i cittadini per proporre un referendum o una proposta di legge di iniziativa popolare debbano ottenere la disponibilità ad autenticare le firme dai consiglieri dei partiti e debbano raccoglierle solo per strada su moduli cartacei.
Resta inoltre un quorum partecipativo alto, ridotto al 40% degli aventi diritto, che invita i contrari al quesito ad astenersi per concorrere a non raggiungere il quorum. Oggi un referendum, anche se ottiene la maggioranza di voti positivi è nullo perché ai voti negativi si sommano le astensioni. Chi si astiene non conta, ma i partiti “contano” sull’astensionismo fisiologico, oggi sempre più alto, per non dare potere e sovranità ai cittadini.
La scelta di accogliere ordini del giorno, che pure pongono le questioni di riforme da noi proposte nell’audizione dello scorso 7 dicembre – in primis sottoscrizione online per i referendum, facoltà di autenticazione ai promotori e libretto informativo ai cittadini con le ragioni del SI’ e del NO – non comporta, come noto, impegni deliberativi e risulterà sostanzialmente inutile. La ragione della scelta di presentare ordini del giorno e non emendamenti, relativa a una supposta necessità di restare allineati alla legge statale, è una abdicazione rispetto all’autonomia regionale. Limitarsi a recepire la legge nazionale, rendendo meramente formale la speciale autonomia di cui gode il Friuli Venezia Giulia è scelta sbagliata. La legge regionale è lo strumento con il quale attuare l’autonomia. La competenza della Regione nel modificare la propria norma, che già ora non corrisponde a quella nazionale, è piena. Si è trattato dunque di una scelta politica, lo si ribadisce, quella di non esercitare la propria autonomia.
La riduzione a 5000 firme necessarie per una legge di iniziativa popolare va nella giusta direzione ma si tratta di un numero di aventi diritto che corrisponde comunque alla soglia regionale più alta nel Paese.
Si è persa dunque una grande occasione per rendere effettivo il diritto a promuovere iniziative popolari e restano tutti i principali ostacoli che oggi negano di fatto la possibilità ai cittadini del Friuli Venezia Giulia di partecipare con i referendum al processo democratico della Regione.”
“Finalmente una norma che tutela la volontà popolare senza strumentalizzazioni politiche, preservando le prerogative del consiglio”., commenta, invece, il consigliere regionale Alessandro Colautti, da lungo tempo impegnato per modificare il sistema che regolava la materia fino ad oggi.
“Credo sia una pagina positiva per il futuro della vita civile e politica della regione. Grazie alla legge che oggi il consiglio ha approvato quasi all’unanimità (contraria solo Barbara Zilli della Lega) i cittadini potranno disporre di uno strumento finalmente utile e che raggiunge tre differenti obiettivi: tutela la loro volontà in maniera autorevole grazie all’istituzione della Commissione di Garanzia; l’operato del consiglio regionale, che pure rappresenta il popolo, non viene delegittimato come avveniva in precedenza; il dibattito sull’argomento oggetto del referendum diventa “tecnico” e non politico, preservandone la validità da condizionamenti faziosi e non oggettivi. Una legge per cui mi sono sempre battuto in prima persona e che oggi ho votato con grande soddisfazione”.
Fra le novità più importanti della nuova legge: il numero minimo dei firmatari della proposta di referendum di iniziativa degli elettori passa da 500 a 1.000, mentre la proposta di legge di iniziativa popolare dovrà essere accompagnata da almeno 5.000 firme contro le 15.000 della precedente norma; l’ammissibilità del referendum verrà valutata da una Commissione di garanzia per i procedimenti referendari, eletta ogni sei anni dal consiglio e costituita da sette componenti: cinque tra magistrati a riposo, docenti universitari e avvocati e due tra ex consiglieri che abbiano esercitato il mandato per almeno un’intera legislatura; il referendum sarà ritenuto valido se voterà almeno il 40% degli aventi diritto.
“Noi avevamo proposto la maggioranza assoluta (50 più uno) – spiega Colautti – l’opzione che ci sembrava più giusta anche per dare forza alla scelta referendaria”.