The Crowd, La folla, di King Vidor, 1928, è il film che apre la 36a edizione delle Giornate del Cinema Muto il 30 settembre al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone con le musiche di Carl Davis eseguite dal vivo dall’Orchestra San Marco di Pordenone.
Capolavoro del realismo, ispiratore di tante opere successive – De Sica dichiarò apertamente che se non ci fosse stato La folla, forse non avrebbe mai fatto Ladri di biciclette – The Crowd rompe gli schemi usuali del cinema americano, sia per la scelta del tema, le vicende non sempre positive nella vita di un uomo comune, sia per la scelta di un finale aperto che non offre soluzioni consolatorie.
I dirigenti della MGM, la casa di produzione, erano così allarmati che pretesero fossero girati altri sette finali più ottimistici da offrire ai distributori che l’avessero richiesto, in alternativa a quello voluto dal regista. Secondo le previsioni e contrariamente al precedente film di Vidor, The Big Parade, The Crowd fu un insuccesso commerciale, ottenne però una positiva accoglienza dalla maggior parte della critica, la candidatura all’Oscar per la miglior produzione artistica e la prima delle cinque candidature per il regista. È infine da notare che in questo film vengono ampiamente sfruttate, per le riprese in esterni, le location urbane di New York.
La proiezione di The Crowd è preceduta da The Butcher Boy, del 1917, l’esordio cinematografico di Buster Keaton. Fino a quella data, l’allora ventunenne attore si era esibito solo nei teatri del vaudeville, e la proposta di passare al cinema gli venne fatta dallo stesso Roscoe (Fatty) Arbuckle, re della slapstick comedy, che lo diresse e lo fece appunto debuttare cent’anni fa in The Butcher Boy.
La chiusura delle Giornate, sabato 7 ottobre, è affidata a Ernst Lubitsch, al suo The Student Prince in Old Heidelberg, Il principe studente, 1927, con la partitura di Carl Davis eseguita dal vivo dall’Orchestra San Marco di Pordenone diretta da Mark FitzGerald. L’evento, in replica domenica 8 ottobre, è realizzato in collaborazione e con il sostegno della Fondazione Friuli. Ambientazioni mitteleuropee esaltate da uno stile sofisticato e leggero, l’inconfondibile “Lubitsch’s touch”, due dei divi più noti dell’epoca, Ramon Novarro e Norma Shearer, come protagonisti, Il principe studente è stato il più costoso film muto della MGM dopo Ben Hur. L’attenzione e la cura quasi maniacale nei costumi e nelle scene contribuirono non poco al successo internazionale del film. Dopo la prima guerra mondiale era infatti necessario per l’industria cinematografica americana riconquistare il favore del pubblico tedesco e austriaco, e si può perciò ben dire che il film fu anche un ambasciatore di pace in una parte dell’Europa. Un aneddoto racconta che durante la seconda guerra mondiale la città di Heidelberg si salvò dai bombardamenti perché un generale americano che aveva tanto amato il film, ne impedì la distruzione.
Anche la proiezione della serata finale ha un prologo d’eccezione: l’ultimo Méliès riscoperto, Le Rosier miraculeux, Il roseto miracoloso, 1904. Poco più di due minuti e mezzo di autentico incanto visivo che confermano, se ce ne fosse stato ancora bisogno, come Méliès meriti appieno la qualifica di padre del cinema fantastico.
Per l’amicizia e la riconoscenza che legano le Giornate del Cinema Muto a Sacile, che in passato ha ospitato otto edizioni del festival, l’apertura ufficiale è preceduta anche quest’anno da un evento di pre-apertura organizzato in collaborazione con il Comune di Sacile e la partecipazione del Rotary Club Sacile Centenario. Venerdì 29 settembre al Teatro Zancanaro, la Zerorchestra con l’Accademia d’Archi Arrigoni accompagna The Wind, capolavoro di Victor Sjöström, con la partitura composta e diretta da Günter Buchwald.
LE DONNE PROTAGONISTE
Il programma delle Giornate 2017 riserva un grande spazio alle donne, declinando l’immagine della figura femminile in molteplici varianti. Partiamo da una delle star più iconiche di tutta la storia del cinema, colei che fu il prototipo della donna moderna, sensuale, provocante, disinibita, e allo stesso tempo infantile, innocente e pura: Louise Brooks. In prima internazionale le Giornate presentano il frammento di 23 minuti di Now We’re in the Air, un film che, come gli altri tre girati dalla Brooks nel 1927, era finora considerato interamente perduto. Prodotto dalla Paramount, è una commedia ambientata durante la prima guerra mondiale in cui la Brooks impersona due gemelle, una cresciuta in Francia, l’altra in Germania, oggetto delle attenzioni di due strampalati aviatori. Più che per il regista Frank Strayer, il film si segnala per l’abilità dell’operatore, Harry Perry, specializzato nelle riprese aeree, per la presenza dell’attore futuro premio Oscar Wallace Beery e soprattutto per l’apparizione già magnetica della Brooks, fasciata nel tutù nero in cui è immortalata nelle sue foto più celebri.
Negli anni Dieci l’immagine della donna era ben diversa, più legata a stereotipi decadenti ed esotici tardo ottocenteschi. Esemplare è il caso di Pola Negri. Polacca dalle origini misteriose, cresciuta in miseria, ballerina e attrice di notevole talento, si trasferì nel 1917 in Germania su invito del grande impresario teatrale e regista Max Reinhardt. Successivamente andò negli Stati Uniti dove la sua fama fu alimentata più che dall’arte, dalle sue vicende sentimentali piuttosto movimentate (celebri i suoi flirt con Charlie Chaplin e Rodolfo Valentino). Scopo dell’omaggio a Pola Negri, di cui le Giornate presentano tre film, tutti del 1918, è proprio quello di rivalutare il suo talento, che si espresse al meglio nel sodalizio con Lubitsch. La vedremo diretta da lui in Carmen, con la partitura composta ed eseguita da Gabriel Thibaudeau, e poi nei rarissimi Mania di Eugene Illés e in Der Gelbe Schein, La tessera gialla, di Victor Janson e Eugene Illés, nel quale Pola Negri interpreta una ragazza ebrea che, in quanto tale, viene costretta dalla polizia a chiedere la tessera gialla, un “marchio d’infamia” che la equiparava alle prostitute. La vicenda si svolge all’epoca degli zar ed ha un preciso riscontro storico giacché anche la rivoluzionaria Rosa Luxemburg dovette portare la tessera gialla (la legge fu poi abolita dai bolscevichi). Der Gelbe Schein sarà accompagnato dalla nota violinista klezmer Alicia Svigals e dalla pianista Marilyn Lerner.
Il termine vamp deriva da vampira e l’attrice più famosa che ha impersonato questo tipo di donna è Theda Bara (anagramma di arab death, morte araba), lanciata dal film A Fool There Was di Frank Powell, in programma alle Giornate.
La versione italiana della femme fatale è la sciantosa, un’attrice che sa anche cantare e ballare. La sciantosa è una stella del varietà e tra il 1916 e il 1922 chi spopolava nei teatri italiani era la tarantina Anna Fougez, al secolo Maria Annina Pappacena. All’apice del successo, soprattutto sulla scena romana dove fece spesso coppia con Ettore Petrolini, la Fougez approdò inevitabilmente anche al cinema ma dei film da lei interpretati ci rimane solo, e incompleto, Fiore selvaggio, 1921, di e con Gustavo Serena, che sarà presentato alle Giornate. A questa diva nazionale è dedicata anche una mostra.
Appropriandoci di una definizione che il presidente Trump ha usato in un dibattito preelettorale nei confronti di Hillary Clinton, bollandola come “nasty woman”, ecco sbarcare a Pordenone in formazione compatta le Léontine, Rosalie, Cunégonde, Lea, Bridget, Tilly, ovvero le Nasty Women, le donne “cattive” della commedia, che si fanno beffe del potere maschile, trasgrediscono le norme sociali basate sul genere, e combinano ogni sorta di sconquasso. Occhio a queste donne in cerca di guai, ma il divertimento è assicurato!
Donne che volano. Il fascino esercitato dalle prime donne aviatrici come Raymonde de Laroche, la prima donna ad ottenere un brevetto di volo nel 1910, sta tutto ne L’autre aile di Henri Andreani, 1924, i cui costumi sono stati disegnati da Paul Poiret, il grande stilista parigino art-decò passato alla storia come il Picasso della moda. Il film, presentato in prima mondiale nel restauro della Cinémathèque française, sarà preceduto da quattro cinegiornali dedicati ad altrettante famose donne aviatrici: oltre a Raymonde de Laroche, Adrienne Bolland, Hélène Dutrieu, Marie Marvingt.
IL GRANDE VIAGGIO
Un tema affascinante che si può individuare nel programma è costituito dalla numerosa presenza di film di esplorazione che troviamo nelle varie sezioni. Iniziando proprio da “Viaggiatori sovietici degli anni ‘20”, che ci porta nel grande mosaico degli stati così diversi per lingue, tradizioni ed etnie, della neo costituita Unione Sovietica, come la Cecenia, l’Azerbaigian, la Siberia, la Crimea, il Kirghizistan. Nomi che in molti casi ci riportano a situazioni non risolte e di scottante attualità.
Il viaggio delle Giornate continua in Africa con alcuni cortometraggi etnografici di produzione norvegese realizzati intorno al 1920 su tre tribù, i Kavirondo del Nilo, i Kikuyu del Monte Kenya e i più celebri Masai. Il più antico film africano, magnificamente colorato, è del 1912, e più che un safari è la storia del rapporto quasi amichevole che si instaura tra il cacciatore e la preda una volta catturata. Di La Chasse aux singes, Caccia alle scimmie, conosciamo anche il nome del regista, Alfred Machin, un vero malato d’Africa a giudicare la sua produzione cinematografica per la Pathé Frères.
Dall’Africa al Polo Nord, con alcune delle più antiche immagini di caccia artica nel film Captain F.E. Kleinschmidt’s Arctic Hunt del 1914. Il Capitano, come amava farsi chiamare, era indubbiamente un personaggio fuori dal comune. Immigrato tedesco trasferitosi in Alaska, fu anche reporter di guerra durante la prima guerra mondiale. Kleinschmidt dello spirito d’avventura aveva fatto lo scopo della sua vita, convinto che il cinema e la fotografia fossero il mezzo fondamentale per trasmettere all’uomo moderno la passione e l’interesse per i luoghi selvaggi e inesplorati del pianeta.
Sono queste solo alcune delle molte suggestioni che si possono ricavare dal programma della 36a edizione delle Giornate del Cinema Muto. Ma non si può tralasciare il tema della Storia, nella retrospettiva triennale giunta ora alla conclusione dedicata a Luca Comerio, pioniere italiano del cinema e della fotografia, con le immagini della guerra italo-turca in Libia, della prima guerra mondiale e dei primi raduni fascisti. Gli effetti della prima guerra mondiale sui soldati e soprattutto sui civili è forse la sezione che più ci invita a riflettere e a stabilire delle connessioni tra le distruzioni di città, la diffusione di malattie, lo sterminio di popolazioni innocenti di allora e quanto avviene oggi in Siria, in Iraq, in Yemen, in Afghanistan e in tante altre parti del mondo.
LE ALTRE RASSEGNE
La retrospettiva più corposa, che proseguirà nel 2018, è dedicata alla Scandinavia e in particolare all’influenza che, nella sua “epoca d’oro”, il cinema svedese esercitò sugli altri paesi dell’area. Sulla scia dei capolavori di Victor Sjöström e Mauritz Stiller, altri bravi registi realizzarono opere di pregio secondo i canoni del cinema nazionale: film di grosso budget e di alte ambizioni artistiche basati su celebri testi letterari nazionali, di ambientazione per lo più rurale e in cui l’azione e la psicologia dei personaggi sono ancorati al paesaggio scandinavo. Per queste opere prodotte in Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia e rimaste finora un po’ nell’ombra, offuscate dalla fama dei capolavori dei due maestri, è arrivato il momento della riscoperta. Fra i sette titoli di questa prima tranche, anche Glomdalsbruden (La fidanzata di Glomdal, 1926) di Carl Th. Dreyer.
Si conclude la serie triennale sulle origini del western con un focus sui western europei girati fra il 1911 e il 1916 soprattutto in Francia (Joë Hamman) e in Italia, ma pure in Inghilterra e in Danimarca, a dimostrazione che la figura del cowboy era popolarissima anche in Europa già all’inizio del XX secolo e non solo nei decenni successivi.
Nell’annuale selezione dei titoli canonici, oltre ai già citati La folla e A Fool There Was, ricordiamo Fauno (IT 1917) di Febo Mari, pietra miliare del cinema simbolista italiano, il primo colossal sovietico di fantascienza Aelita, regina di Marte (1924) di Yacov Protazanov, e Dawn (Alba, 1928) di Herbert Wilcox, uno dei film più controversi degli anni Venti, che narra la storia dell’infermiera britannica Edith Cavell, fucilata dai tedeschi a Bruxelles il 12 ottobre 1915.
Per celebrare i 70 anni della Cineteca Italiana di Milano saranno proiettati alcuni tesori dalle sue ricche collezioni, fra cui gli americani Careers (Fiamme di passione) di John Francis Dillon e Seven Footprints to Satan (La scala di Satana) di Benjamin Christensen, entrambi del 1929, lo sperimentale Mediolanum realizzato nel 1933 da Ubaldo Magnaghi e Il fiacre n. 13, del 1917, uno dei rari film a episodi del cinema muto italiano, che, per la struttura narrativa tutta centrata su un succedersi continuo di scene madri, fa pensare alle telenovelas televisive.
Nelle edizioni passate, le Giornate avevano portato a Pordenone l’antica arte del benshi, la narrazione dal vivo, nel cinema muto giapponese. Ora invece l’attenzione si sposta sul film muto sincronizzato, un genere che fiorì nei primi anni Trenta e che rappresentò un periodo di transizione verso il sonoro. È il saundo-ban, film girati muti ma distribuiti con una colonna sonora postsincronizzata, composta di solito da una partitura musicale, effetti sonori e qualche canzone popolare. Questa formula ebbe un grande successo di pubblico e venne adottata non solo da registi commerciali, ma anche dai maestri come Ozu, Shimizu e Mizoguchi. In attesa di presentare nel 2018 una più ampia rassegna, organizzata con il National Film Center di Tokyo e la Shochiku, arrivano quest’anno i primi due film restaurati, Shima no musume (Figlia dell’isola, 1933) di Hotei Nomura e Tokyo no yado (Una locanda di Tokyo, 1935) di Ozu, nel quale lo stile del grande maestro si manifesta già appieno.
Nella lista dei “film più ricercati” c’è la versione del 1915 di Der Golem, vitale anello di congiunzione tra il cinema tedesco pre e post prima guerra mondiale, e un film che ebbe un’importante influenza sui registi della Repubblica di Weimar, come pure sui classici dell’horror dello stampo di Frankenstein. Del film erano sopravvissuti solo una decina di minuti, ma grazie alla scoperta fatta recentemente nel Museo del Cine Pablo C. Ducrós Hicken di Buenos Aires (lo stesso dove sono state ritrovate le parti mancanti di Metropolis), si vedrà alle Giornate un frammento lungo più del doppio, splendidamente colorato, grazie al restauro realizzato in collaborazione con il Filmmuseum di Monaco.
Fra le riscoperte e i recenti restauri vanno senz’altro ricordati anche due film americani, The Right to Happiness di Allen Holubar e The World and Its Woman di Frank Lloyd, entrambi del 1919, che testimoniano la reazione degli Stati Uniti agli eventi rivoluzionari in Russia di un secolo fa. E 3 Days to Live (US 1924), riemerso in Australia, diretto da Tom Gibson e montato dal futuro maestro Frank Capra.
Le Giornate del Cinema Muto 2017 sono promosse dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Direzione Generale Cinema, dal Comune di Pordenone, dalla Provincia di Pordenone, dalla Camera di Commercio di Pordenone e dalla Fondazione Friuli, con il sostegno di Crédit Agricole FriulAdria e PromoTurismo FVG.