La fotografia dello stato di “salute” delle famiglie del Friuli Venezia Giulia arriva dal Barometro della Cisl, ovvero lo strumento del Sindacato che, analizzando tre differenti “domini” – Lavoro, Istruzione e Coesione Sociale – rivela la reale qualità della vita delle persone.
E’, dunque, sulla base di alcuni indicatori come, ad esempio, le paghe, il tasso di occupazione, l’uscita precoce dal circuito della formazione*, che il termometro cislino fornisce uno spaccato della società attuale. Quello che subito emerge è come, anche per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, la debolissima ripresa dell’economia non sia bastata a portare miglioramenti significativi nel benessere delle famiglie, andando pesantemente ad incidere sulla tenuta complessiva del tessuto sociale, sempre più fragile e caratterizzato da un preoccupante ampliamento delle maglie della povertà.
“Continua in sostanza a mancare la trasmissione dell’economia reale al benessere delle famiglie attraverso il mercato del lavoro: evidentemente solo un incremento occupazionale consistente, concentrato sulla qualità e sulla stabilità, potrà garantire un’inversione di tendenza duratura” – commenta il segretario generale della Cisl Fvg, Alberto Monticco.
Guardando nello specifico gli indicatori del Barometro, fatto 100 il valore base (che si riferisce all’Italia nel suo complesso nel primo trimestre 2007), emerge che, pur in presenza di un lieve miglioramento delle condizioni rispetto al 2014, ci troviamo ancora largamente al di sotto dei livelli pre-crisi: dai 106.3 punti di partenza (2017) siamo scesi a 101.4, recuperando sul 2014 soltanto 0,7 punti. A scontare le criticità maggiori sono in particolare i “domini” del lavoro e della coesione sociale, mentre quello dell’istruzione, concentrato soprattutto sugli elementi della partecipazione al sistema formativo, registra un segno positivo, riconoscendo al Friuli Venezia Giulia, nella prima metà del 2018, i valori più elevati in quest’ambito (122.8 punti contro i 119.6 del Trentino A.A.), a partire dalla crescita della quota di laureati e della partecipazione alla formazione continua.
“Si tratta – commenta Monticco – di un dato assolutamente interessante al quale, però, non fa da contro altare una altrettanto soddisfacente risposta del mercato del lavoro, basti pensare a quanto si sia accentuato il processo di precarizzazione del lavoro e al fortissimo dumping soprattutto in alcuni settori”. “Oltre, poi, alla crescita di attività contrassegnate dalla provvisorietà, quella che ci preoccupa è la forte distorsione nella gestione delle competenze: l’incremento di occupati maggiormente istruiti non viene assorbito in misura sufficiente dall’aumento della domanda per le professioni ad elevata specializzazione o qualificazione. In altri termini, stiamo sottoutilizzando il capitale umano con un impoverimento complessivo del nostro mercato del lavoro. E questo non accade soltanto per la mancanza di possibilità per i giovani che hanno investito nello studio, ma anche per le donne, oggi, spesso e volentieri, costrette ad un part time involontario e privativo”.