Il problema della disoccupazione, in Italia come in tutto il mondo, è annoso, complesso e grave in maniera direttamente proporzionale alla percentuale. Oneroso per le persone di una certa età che a causa alla crisi economica si trovano a cinquanta o sessant’anni senza un posto di lavoro che probabilmente rappresenta l’unica fonte di sostentamento, ancor più rumorosa nel caso interessi i giovani, che saranno l’Italia del futuro.
La crisi non è per tutti. Certamente buona parte della colpa è attribuibile alle politiche incredibili e disfattiste di governi che si sono alternati negli anni senza cercare in alcun modo una soluzione concreta che migliori la situazione oggi senza gravare sul futuro.
Ricordiamo lo “statalismo” dei tempi di Andreotti, quando lo Stato gestì buona parte delle aziende in maniera plateale od occulta (Fiat, Enel, Poste, Ferrovie, etc.). Periodo in cui nessuno si preoccupò di amministrare oculatamente giacché, grazie ai prestiti del dopoguerra, drogarono l’economia nazionale, in totale e continua inflazione. Le cambiali, le rateizzazioni e le condizioni incredibili dei contratti statali consentiva a tutti di sognare. Comprarsi la 500 e andare in vacanza, in attesa di raggiungere la baby-pensione a meno di quarant’anni d’età, ti consentiva di vivere senza pensieri.
L’INPS, INPDAPP e gli altri istituti pensionistici elargivano trattamenti da nababbi a chi magari non aveva mai lavorato seriamente (politici, magistrati, generali e altri), senza considerare i contributi da loro versati, bensì utilizzando quelli versati al momento da veri lavoratori.
Mentre continuarono a sovvenzionare tutti gli amici e alcune testate giornalistiche, cedettero tutte o quasi le quote a favore dei privati, spesso rimettendoci e creando problemi ai lavoratori (Alitalia per esempio), lasciando che i grandi manager si dimettessero percependo liquidazioni incredibili, dopo aver fatto danni irrimediabili.
Arrivò l’idea di Berlusconi, secondo il quale anche chi non aveva versato nemmeno un quattrino di contributi, al raggiungimento dei sessantacinque anni, aveva diritto alla pensione sociale, ma non doveva essere inferiore al milione di lire. Molto bello se non considerassimo le persone che, dopo aver lavorato per tutta la vita, magari a tempo parziale piuttosto che in nero o con mancati versamenti dei datori di lavoro, andranno in pensione con emolumenti ben al sotto dei cinquecento euro.
Intanto continuano a procrastinare l’età per andare in pensione, così i fortunati che hanno un posto di lavoro se lo terranno fino a chissà quando (possibilmente mai), senza consentire l’ingresso dei giovani in loro sostituzione. Senza considerare i dipendenti pubblici che continuano a giocare con le schede di presenza di diversi colleghi e quelli che dopo aver timbrato vanno a fare la spesa o a giocare alle “macchinette” nei bar.
Oggi ci sono gli immigrati che vengono a “lavorare” in Italia, anche se non si comprende che lavoro facciano. Il tasso di disoccupazione ufficiale secondo l’Istat dei giovani tra i 15 e i 24 anni, a dicembre 2016 ha superato quota 40%.
Verissimo che molti giovani italiani rinunciano a fare certi lavori nel rispetto del titolo di studio. Continuano ad aspirare a ruoli e carriere che non facciano rimpiangere il tempo perso a studiare per acquisire diplomi senza alcuna competenza, ma le opportunità e le esigenze fanno preferire un contratto di cameriere all’estero, piuttosto che le sottostare allo sfruttamento consentito dalle leggi italiane. Oltre la fuga di cervelli, è tornata in auge l’emigrazione delle braccia.
Considerando anche l’altra faccia della medaglia di piombo vinta dal governo italiano, non possiamo dimenticare l’opportunità delle agevolazioni per i disoccupati, per cui tanti cercano volentieri contratti brevi, pur di ricevere l’indennità di disoccupazione, pari al 75% dello stipendio, senza fare nulla. Il Jobs Act, ha infatti cambiato il concetto di disoccupazione in Italia. Oggi il cittadino che perde il lavoro, anche per scadenza del contratto, accede ufficialmente allo stato di disoccupazione dopo avere presentato la Dichiarazione di Immediata Disponibilità (Did) e aver firmato il patto di servizio presso un Centro per l’impiego. Sicuramente questo non rappresenta un ostacolo dato che difficilmente sono in grado di proporre un nuovo impiego.
Questo però comporta un esborso di denaro che lo Stato è costretto a recuperare tramite tassazioni esorbitanti che gravano su tutti, imprese in primis. Ciò provoca il trasferimento di molte aziende all’estero, dove trovano agevolazioni, possibilmente alla condizione di assumere personale locale (mica sono fessi in Slovenia, Austria ma anche in Bulgaria o Ungheria per esempio). Al di là delle offerte iniziali a zero tasse, dopo il primo anno risparmiano circa i tre quarti delle imposte italiane. Meno aziende in Italia, meno posti di lavoro, più immigrati clandestini che vanno ad aggiungersi ai disoccupati nostrani.
Pochi giorni fa da Udine ha avuto una eco nazionale il gesto estremo di Michele, 30enne disoccupato, che lasciato degli appunti con cui ha motivato il suo suicidio. Queste sono risultanze estreme, ma concrete. Situazioni complesse che rendono la condizione di non lavorare insopportabile. Perché quando vivi un’esistenza da disoccupato, i problemi sembrano moltiplicarsi e non aver mai fine ne soluzione. Vedi con negatività ogni ostacolo che diventa insuperabile.
Con il sindaco della città di Codroipo, Fabio Marchetti, abbiamo considerato la situazione occupazionale, particolarmente riguardo ai giovani, nel Medio Friuli (servizio audio e video). Interessante scoprire cosa l’amministrazione può fare, nonostante le politiche nazionali, per agevolare i giovani che frequentano le scuole italiane con pessime prospettive, a entrare nel mondo del lavoro.
Marco Mascioli